Il lavoro immenso delle donne
So già che per questa riflessione potrò essere tacciata di femminismo. Ma secondo me certi pensieri non sono questione di femminismo, semplicemente di buon senso. Magari unito, quello sì, a una buona dose di intelligenza. Parlare del lavoro immenso che le donne ogni giorno fanno non significa svilire il lavoro maschile. Significa semplicemente riconoscere al sesso femminile l'apporto imponente e fecondo che quotidianamente danno all'esistenza umana, spesso e volentieri sfinendo se stesse, pur di riuscire a stare dietro a tutti i ruoli e gli impegni che, in parte hanno scelto, in parte le sono stati appioppati volente o nolente dalla 'evoluzione' di una società sempre molto generosa nei confronti delle donne in quanto a doveri. D'altro canto, neppure voglio con questa riflessione scrivere una bucolica al genere femminile in generale, giacchè sapete bene che i sassolini nella scarpa nei confronti delle mie compari generalmente me li tolgo.
Eppure nonostante tutto, nonostante le donne non siano tutte meravigliose, nonostante vi siano uomini meravigliosi al mondo e nonostante l'enorme contributo che essi danno al vivere umano ( fatto salvo di alcuni esemplari con gravi limitazioni mentali), il lavoro delle donne resta immenso.
Basta guardare le loro giornate: sveglia presto e prima dei figli, preparare se stessi e i figli, con tanto di colazione, accompagnare i figli a scuola, spesso sempre di corsa ed entrando con la porta della scuola che si chiude dietro di te, lavoro, mille cose in poche ore, quasi senza respiro, a volte neppure il tempo di pranzare. Poi sempre di corsa e con un certo affanno per non tardare più del previsto andare a riprendere i figli ovunque essi siano, con il preciso intento di essere tutta per loro da quel momento in poi ( visto che per tutta la giornata sono stati fuori) senza però fare i conti con il resto della vita domestica e casalinga che nessuno assolve al posto suo, ma che in effetti grida anch'essa il suo contributo. Cena, mettere a dormire i figli, e forse alla fine, mezze morte, un pò di pace...Una pace che spesso dura non più di 10 minuti, giacchè ciò che non è stato fatto durante la giornata passa poi in seconda serata.
E dulcis in fundo. Neanche un grazie a fine giornata. Ma piuttosto un ' beh la cena non è tra le migliori' ' come, non sei riuscita a fare anche quello' ' ah però oggi te la sei goduta...' ( per quello straccio di caffè che mentre correvi hai preso con un'amica). Eccolo qui, un mio amico di infanzia diceva, il paradigma della donna schiava, stira e lava.
Capite che qui c'è qualcosa da sistemare. Qualcosa da sistemare in una cultura che sostiene di mettere le donne al centro della società e poi in fin dei conti le fa diventare come 'asini da soma', risucchiando loro ogni energia senza però poi restituirgliele sotto altra forma. Ho appena parlato con una mia amica, la quale mi diceva che ha appena chiesto un permesso al lavoro per pulire la casa. Ci siamo fatte una risata. Ma capite che è avvilente? Trovo che per ricordarci di noi stesse come veniamo tutti i giorni stimolate a fare per ritrovare il nostro centro, dovremmo anche vivere in una società che si ricorda di noi e che sa prima ancora che apprezzare, rendersi conto e del valore del nostro lavoro e della sua mole quotidiana. Nel fine settimana, per un puro caso o una coincidenza fortuita non lo so, mi sono imbattuta in una mostra di pittura di J.F Millet, un artista francese che poi Van Gogh sposò culturalmente come padre, che mise il tema del lavoro al centro della sua opera. Ebbe insomma un grande simpatia per la quotidiana fatica degli uomini. A parere mio con delle tinte un pò troppo imbevute di quello spirito di sacrificio che deriva dalla croce dei cristiani e troppo poco dalla ebrezza dello svolgere un lavoro che soddisfa e piace. Millet infatti, nonostante fosse nato nel 1814 e vissuto quindi in pieno ottocento, francamente pare rispecchiare di più culturalmente la società successiva dei primi anni del 1900, anni in cui il concetto di profonda fatica umana poteva essere decisamente più comprensibile.
Nella sua opera, trova uno spazio considerevole l'ammirazione del lavoro femminile, dove per lavoro non si intende il lavoro come lo intendiamo noi, ma un concetto di lavoro, in questo senso, più tipicamente cristiano e cioè basato sulla carità. " Nel lavoro delle madri si svela il valore del lavoro nel suo significato più profondo che, non è una merce ma carità profonda."
Una frase come questa a commento di una sua opera ' Il lavoro delle madri' zittisce culturalmente qualsiasi concettualizzazione che cerchi di sminuire il lavoro e il contributo femminile.
" Il fondo di tutto è sempre questo: bisogna che un uomo sia prima colpito..." ( J.F.Millet) che in poche parole significa, bisogna che prima di tutto un uomo sappia osservare e cogliere il lavoro femminile in ogni sua forma e dimensione per poterlo apprezzare.
E' solo così che potrà cambiare qualcosa. Imparando a guardare.