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La rabbia come motore di cambiamento


Nella società in cui viviamo, che sia per formazione religiosa oppure per semplice perbenismo culturale abbiamo una certa avversione per la rabbia. In poche parole, ci dà talmente fastidio questa emozione che, se potessimo eliminarla dal dizionario della lingua italiana oltre che dal dizionario emotivo saremmo tutti più felici. Invece, benchè, anche a me la rabbia non sia per nulla 'simpatica', perché sia a provarla che a sentirla addosso da parte di qualcun altro non è senz'altro una esperienza poco faticosa, credo che essa abbia o almeno possa avere concretamente nella nostra vita una valenza estremamente positiva. Badate bene che, quando parlo di rabbia, non intendo che dobbiamo vivere una esistenza arrabbiata. Ma è proprio per il motivo contrario, cioè per vivere e imparare a vivere una esistenza libera che dobbiamo imparare a confrontarci con questa emozione ed anche a provarla quando è giusto farlo. La repressione non mi piace, eppure è quello che culturalmente si tende a fare nei confronti della rabbia. Erroneamente, cioè si confonde moltissimo l'educazione della rabbia con la sua repressione. Ed anche se magari nella teoria, tutti diciamo di no, poi di fatto è quanto avviene. Personalmente, ho imparato nella vita che così come incazzarsi di continuo fa male, fa ancora peggio non incazzarsi mai, giacché tutti ti passano sopra con il pretesto del porgi l'altra guancia e tu ti ritrovi sempre a dover rispondere con un sorriso. Ebbene no. I conflitti non sono mica sempre negativi, anzi spesso sono la base del cambiamento, giacchè rompono lo status quo e perché se ne crei uno nuovo devono per forza destabilizzare momentaneamente. E' sacrosanto e giusto provare rabbia davanti a ciò che è ingiusto, sbagliato e a ciò che non va. Se non cominciamo a provare rabbia, non lo possiamo neanche cambiare e poi, non è che non facendo emergere la rabbia non la proviamo. La proviamo comunque, solo che la 'comprimiamo' dentro, commettendo un errore clamoroso. La rabbia è una emozione che va cucinata per bene. Ossia, non la possiamo agire come vorremmo per non commettere azioni sbagliate, ma dobbiamo imparare a farla 'venire fuori' per evitare che ci imploda nel cuore, tralasciando poi peraltro un compito importantissimo che è quello di essere energia e motore di cambiamento. Per cucinare la rabbia bisogna orientarla, cioè metterla a frutto in qualcosa. Che sia una causa, un lavoro, un mestiere, un qualcosa di pratico come uno sport o una filosofia che implica la corporeità, essa va modellata fino a che sarà lei stessa a modellarci dentro. Questo cosa significa? Significa che, se ignoriamo la rabbia, essa ci porterà o a commettere azioni violente fuori oppure a mangiarci dentro fino a farci del male. Mentre la rabbia va scaricata. Soprattutto se è una rabbia giusta per qualcosa che ci ha fatto male e che dobbiamo avere il coraggio di denunciare. Se apriamo questo dialogo con la rabbia che abbiamo dentro e cominciamo a parlarci, ne comprenderemo le radici e cominceremo a guarire le nostre ferite. Se invece la teniamo dentro, ci creerà uno schermo tra noi e gli altri, tra noi e il mondo e non saremo in grado di evolverci al gradino superiore della nostra identità. In questo, dobbiamo prestare molta attenzione alle religioni, perché il passo tra educare e orientare la rabbia e in realtà reprimerla perdendo il contatto con essa e il mondo reale è veramente un passo assai breve. Nelle prossime puntate approfondiremo ancora questo tema.

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