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L'utilità della tristezza


La tristezza ci pone nelle condizioni di guardarci dentro. Che essa sia scatenata da una perdita, da una delusione o da qualsivoglia motivo per noi importante, essa ci porta a fare introspezione. Mettendoci a contatto con la nostra parte offesa, ci porta a conoscerci meglio e più a fondo e a imparare a proteggerci un pò meglio da ciò che ci fa stare male.

In poche parole, quando siamo tristi siamo più predisposti all'introspezione, alla riflessione, al contatto con le profondità di noi stessi. Essa ci porta a 'ritirarci un pò in noi stessi' e andare a fondo di chi siamo, cosa vogliamo ( spesso passando attraverso il cosa NON vogliamo), quali errori abbiamo commesso, quali situazioni dobbiamo evitare e quindi in un certo senso ci fornisce delle chiavi intelligenti e utili per il futuro, proprio in base a ciò che abbiamo imparato dal passato.

Perciò provare tristezza non è un peccato...quello che non funziona è indugiare eccessivamente in essa. Cioè, se in giuste dosi ci aiuta e in un certo senso ci insegna e ci rafforza alla lunga, se vi indugiamo troppo gli effetti sono quelli negativi di creare un abito di tristezza persistente e questo sicuramente ci va a nuocere. Come sempre, nel campo delle emozioni, dobbiamo intendere dentro di noi che esse non vanno soffocate, perché il loro soffocamento non fa sì che ce ne sbarazziamo, ma anzi che aumentiamo il loro potere negativo. Bisogna quindi che accettiamo di essere tristi. Se ci pensate artisti e scrittori dotati di sensibilità non comune hanno dato luce alle loro più grandi opere più in stati di tristezza e malinconia esistenziale che nella gioia. Ora, perché non mi si fraintenda, non voglio fare un monumento alla tristezza, ma poichè essa è sicuramente una delle emozioni più antipatiche, a maggior ragione dobbiamo imparare a viverla e a sopravvivere ad essa, facendone in qualche modo una nostra alleata per qualche fine a noi utile.

In secondo luogo, la tristezza va espressa. Non reprimerla e non soffocarla implica quindi anche farla emergere, far venire fuori le motivazioni della nostra tristezza che credo sia il primo passo per curarla. L'espressione della tristezza deve essere a parere mio dignitoso per se stessi e per gli altri. Per se stessi, salvaguardando cioè la propria dignità e non appoggiandoci sugli altri per risalire la china, ma traendo forza in noi stessi. E dignitoso per gli altri, perché ci sono persone che si appoggiano talmente tanto all'altro o agli altri che finiscono con il succhiare all'altro tutte le energie.

Terzo punto fondamentale nella tristezza è non lasciarsi andare. Trovare un 'qualcosa' di pratico che ci faccia da salvagente e che con il poco o tanto impegno che ci comporta ci aiuta a non mollare e a continuare a fare qualcosa, a non abbandonare l'azione completamente, in un momento dove tenderemmo a isolarci completamente da mondo. Bisogna essere consapevoli che occorre continuare ad agire seppure in modo più blando rispetto a quando siamo felici. Trovo che l'orientarsi a uno scopo, il perseguire un ideale, il darsi da fare per fare qualcosa di concreto e importante oltre a distoglierci per parte del nostro tempo dal 'piangerci addosso' eccessivamente ci porti anche poi a delle soddisfazioni che piano piano ci conducono fuori dalla tristezza e forse ci accompagnano verso scenari migliori che potremo godere anche in base alle lezioni apprese dal passato e dalla tristezza che ha portato con sè.

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