Lavoro, sfruttamento e dignità
''Incuriosito dal cartello sono entrato nel panificio fingendo di chiedere informazioni per mia figlia. Ebbene, per la proprietaria la voglia è quella di lavorare dal lunedì al sabato dalle 7.30 alle 13.30 e dalle 16 alle 21, la domenica mezza giornata. ...Le ferie tre giorni a ferragosto, la paga è per i primi tre mesi di 500 euro e se si supera il periodo di prova è di 750 e siccome grazie a Renzi non si pagano i contributi sulle nuove assunzioni ti fa un contratto part time di 20 ore settimanali. Queste sono le categorie che per Renzi Salvini Berlusconi si devono aiutare. Fosse per me li salverei con una molotov. - dalla bacheca di Carmine Nigro''
Imbattermi in questo post su Fb, in parte provocatorio, in parte ahimè molto reale, mi ha offerto la possibilità di fare una riflessione che da tempo volevo fare. Su questo argomento, in effetti, tra Job Act, cultura dello sfruttamento legalizzato, pippettoni su 'bamboccioni' e fannulloni fatte da plurivitaliziati neanche laureati che si divertono a parlare di impegno, lavoro e di dignità solo quando si tratta di toglierla agli altri, mica a se stessi, mi si sono accumulati parecchi sassolini nella scarpa da tirare fuori nei confronti di una mentalità tutta italiana di concepire il lavoro e di conseguenza il valore della persona che lo compie.
Vi parrà strano ma per partire nella mia riflessione, mi tocca appellarmi al Papa, il che credetemi, ha del ridicolo visto che non tocca certo al Vaticano occuparsi delle problematiche economiche e sociali del nostro paese.
Eppure, pare che, almeno su questo argomento, un uomo di Chiesa e cioè un uomo che svolge un 'lavoro' spirituale rispetto agli altri, si trovi a dover ricordare ai civili che il lavoro ha il potere di innalzare o abbassare la dignità dell'uomo e che anzi, ha in parte un grande potere di elevarlo, quando nel lavoro si incontrano due variabili molto importanti che sono il lavoro da svolgere insieme al giusto riconoscimento dovuto per quel mestiere o opera.
Hai capito Don Renzuccio che dal Papa sei andato a portare i tuoi doni quando sei diventato premier?
Del resto, se ci pensiamo, è la stessa cosa che dice la nostra Costituzione quando nell'art. 36, sottolinea che viviamo in una Repubblica fondata sul lavoro con caratteristiche ben precise:
''Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.''
Vediamo quindi l'incoerenza della mentalità vigente in Italia, punto per punto.
1. RETRIBUZIONE PROPORZIONATA alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Questa già è una barzelletta.
Innanzitutto, di questi tempi, è un miracolo se vi è retribuzione, visto che ora come ora, oltre al lavoro ti devi anche trovare lo stipendio da solo. Con tutte le modifiche apportate ai cosiddetti lavori subordinati e stabili, il mercato delle libere provvigioni, delle partite IVA anche per mestieri per cui nessuno si sarebbe mai sognato di concepirle, siamo entrati nella giungla del 'arrangiati', io ti uso, uso la tua manualità, il tuo sapere, la tua creatività, ma poiché sei fondamentalmente per la mia azienda non una risorsa, ma un peso, il problema di trovarti una remunerazione è tuo. L'articolo parla anche molto bene di questo valore economico rapportato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, una cosa che difficilmente può essere rispettata in una società dove i parametri di giudizio su quantità e qualità sono del tutto scombinati a svantaggio di dignità e lavoratore e combinati invece con sfruttamento, raccomandazione, apparenza, forma, e giù di lì. Così, paradossalmente, ci troviamo con mestieri di qualità e valore sociale immenso, come ad esempio il poliziotto, sottopagati ( nonostante gli stessi rischino anche la vita) e mestieri dove l'unica cosa che si rischia è sedersi la mattina su una poltrona fredda ma sicura, super pagati anche quando queste poltrone sono scaldate da caste negligenti che sia che lavorino poco, tanto o mal-lavorino proprio, guadagnano sproporzionatamente rispetto all'impegno che vi mettono.
Tutto ciò è abbastanza evidente e all'ordine del giorno, altrimenti non ci potremmo spiegare come persone laureate e preparate si ritrovino a dover accettare incarichi da fame, tirocini, voucher, e tutte le forme possibili di minus valore dato al lavoro, mentre persone di dubbia preparazione, semplicemente amiche di o che in luogo di muovere il cervello di un datore di lavoro gli muovono qualcosa d'altro, si ritrovino ad avere posti di lavoro dorati, super-pagati, magari con orari da sogno, contratti stabili e benefit allegati del tutto immeritati. Non mi riferisco solo a ministri e politici che molto spesso, appunto, non hanno neppure i requisiti di base, in termini di capacità e competenze per il ministero che gli è affidato, ma a tutta la società, giacché i politici che abbiamo e la concezione del lavoro che essi trasmettono con norme e legislazioni non fa che in effetti rispecchiare l'ignoranza del campione umano sociale con cui abbiamo a che fare e che è apparentemente lo stesso che dice di voler combattere i politici che critica. E qui sta la contraddizione.
Noi abbiamo imprenditori che si suicidano perché assediati da Equitalia e non riescono più a trovare una via di sopravvivenza, ma continuiamo a pensare che soggiogare attraverso una cultura dello sfruttamento l'essere umano sia la strada per uscire dalla crisi e migliorare le nostre condizioni sociali. Questa è la rappresentazione del peggiore copione di schiavitù che ci portiamo appresso da millenni, che ha sempre confuso la parola umiltà con la parola schiavitù, 'sguatteraggio' legalizzato e accettato supinamente anche se in coscienza una persona sa di meritare di più, a causa del bisogno, quello stesso bisogno che nelle mani dei potenti diventa appunto un'arma di schiavizzazione dell'essere umano. In questa prospettiva, oltre che contratti a prova di 'clochard' del mercato del lavoro e lavoro nero, si consumano le peggiori ingiustizie che non consistono solo nel non remunerare adeguatamente chi merita, ma consistono anche nel non conferire il minimo riconoscimento per la prestazione svolta giacché il lavoro che il lavoratore svolge è per mentalità dovuto, scontato, quando addirittura non banalizzato.
Trovo che, un datore di lavoro intelligente, dovrebbe sapere mettere in condizioni il lavoratore di lavorare al meglio, giacché un lavoratore sereno e giustamente ed equamente retribuito è un lavoratore che concorre ad accrescere il valore dell'impresa a cui partecipa con il suo apporto, di qualsiasi tipo di apporto si tratti.
Il peggio è che, così facendo, nella nostra società, vi sono persone semplicemente fortunate - cioè persone che hanno la fortuna di avere un lavoro ben pagato e dignitoso, che non hanno magari fatto neanche nessuna fatica a trovare - che dicono ad altre meno fortunate ma più meritevoli di loro che si dovrebbero accontentare, che bisogna piegarsi a fare lavori umili, che bisogna abbassare la testa davanti al bisogno.
Ignoranti, ma vi rendete conto di quanto siete ipocriti?
Non c'è peggior stupido in una società di chi predica a parole la libertà, ma nella realtà predica una schiavitù ignorante chiaramente sulla pelle degli altri, di chi è meno fortunato, di chi ha il coraggio di indignarsi seriamente, di chi talvolta anche mettendoci la faccia profuma di coerenza e non di perbenismo ipocrita e lecchino. Che l'umiltà sarebbe riconoscersi fortunati a fronte dell'altrui difficoltà e non certo invocare umiltà dagli altri da un piedistallo dorato.
Per uscire dalla crisi il primo intervento che occorre è cambiare mentalità e tornare ai principi della Costituzione e l'unica umiltà che deve essere riconosciuta deve essere quella di bifolchi governanti arrivisti e ingrati che mangiando a sbaffo sulle spalle del popolo, poi se ne disinteressano e lo lasciano morire. Sandro Pertini, uno dei presidenti più grandi che il nostro paese abbia mai avuto, diceva: ''Senza giustizia sociale, non vi è vera libertà''
2. LA RETRIBUZIONE DEVE ESSERE SUFFICIENTE PER ASSICURARE ALLA FAMIGLIA UNA VITA DIGNITOSA.
Ma stiamo scherzando? Ma quando mai è interessato a qualcuno il concetto di dignità? Può un popolo abituato a essere schiavo e schiavizzato sapere cosa sia la dignità di rivendicare qualcosa che merita di avere? Se ci hanno inculcato 'lavura e co'bassu' ( lavora a testa bassa si dice dalle mie parti), come possiamo credere di avere il diritto di alzare la testa e dire ' no così non va bene, così la mia dignità non viene rispettata, io merito di più, io valgo di più, io ho diritto a questo, ...).
Ho sempre più l'impressione che viviamo in una società di schiavi volontari che preferiscono piangersi addosso piuttosto che ammettere che lo status quo non funziona e ci si deve impegnare tutti per cambiarlo, perché se non alziamo la testa, il tiranno continuerà a schiavizzare perché siamo noi a dargli il permesso di farlo.
Cosa ci aspettiamo scusate? Che siano i governi a cambiare marcia? Che siano arrivisti e sfruttatori a decidere che non sfruttano più? Temo che occorra trovare un'altra strada per cambiare le cose.
3. IL LAVORATORE NON PUO' RINUNCIARE A FERIE E RIPOSO
Ma perché non lo andate a dire alla società dell'opulenza, del lavoro anche di domenica, della totale assenza di rispetto della vita delle famiglie e della necessità di svago dell'essere umano?
Anche in questo, l' Italia è un paese dichiaratamente e drammaticamente incivile. Non possiede ancora il reddito di cittadinanza, una misura che in gran parte dei paesi europei, si chiama reddito universale e il cui obiettivo primario non è neppure quello di combattere la disoccupazione, ma proprio quello di cambiare la mentalità con cui si affronta il lavoro. Non tutti vivono per produrre, molte persone vivono per VIVERE e con ciò si accontentano di stili di vita più sobri, ma più pieni di valore. Il reddito universale ha così l'obiettivo di sostenere le persone, con un reddito costante, in modo da dare loro la possibilità di scegliere se ammazzarsi di lavoro per guadagnare di più o optare per lavorare il necessario e per il resto vivere, visto che di vita ne abbiamo una sola, e non siamo come i gatti.
Cambiare la mentalità nel nostro paese è un progetto ambizioso e molto spesso anche utopistico per le condizioni in cui esso verte, se non fosse che io sento che la rivoluzione e la voglia di ribellarsi brulica nei cuori della gente come un vulcano che aspetta di eruttare, come un uragano che aspetta di infrangersi sulla spiaggia, come uno tsunami che porta in sé quella forza di smuovere le placche più resistenti della terra a fin di bene, per dare loro un nuovo assetto migliore per tutti.
Lo schiavo ha paura della libertà perché forse non saprà che farsene, non saprà come usarla. Tutto sommato la schiavitù fornisce una certa certezza. Ma mi domando: se la schiavitù porta sostanzialmente merda è lecito continuare a rigirarcisi dentro? Quando è che alziamo la testa?