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Capire prima di parlare


Come può una società in cui, la stessa Giustizia, non ha ancora compreso pienamente il significato della parola violenza, promulgare e applicare leggi giuste, affinché essa sia il braccio sano contro l'espressione della violenza stessa? In una società dove, se entrano nel tuo negozio per rubare, sei tu che ti difendi a finire sotto processo, perché il concetto di legittima difesa è ancora confuso, come possiamo sperare che la Giustizia sia veramente quella istituzione al servizio della collettività sana?

Visto e considerato che ci ritroviamo un governo grillino e leghista nel contempo, ma che su questi temi ha parecchio le idee confuse ancora, forse è il caso di dare una bella raddrizzata alle questioni.

Il primo luogo dove si fa fatica a distinguere chi compie il sopruso e chi lo subisce, composto da operatori che non capiscono o non vogliono capire ( mettiamoci anche una buona dose di viltà istituzionale) è proprio il Palazzo di Giustizia per eccellenza, cioè i Tribunali.

La questione non è banale e neanche può essere presa in considerazione in maniera superficiale, perché attraversa secoli di evoluzione ( o involuzione) dell'umanità in corrispondenza a un codice giuridico che gli stessi magistrati denunciano come non proprio evoluto e da tanti punti di vista.

Se da una parte infatti, vi è stato un tentativo di operare verso il concetto di 'perdono responsabile' per evitare che la giustizia avesse un carattere esclusivamente punitivo ma avesse anche al proprio interno un valore riabilitativo, in alcuni ambiti del diritto si assiste al problema esattamente contrario e cioè che il garantismo protegge sempre di più chi commette il sopruso in luogo di chi lo subisce. Migliaia di cavilli giuridici e di avvocati sciacalli si prestano a questo atteggiamento da Azzeccagarbugli di palazzo e ben pochi a cercare di costruire una società civile. Lo vediamo tutti i giorni dal diritto di famiglia ai delitti di mafia, dai crac finanziari alle aste giudiziarie. Una umanità che abita i palazzi profondamente corrotta indirizza il diritto non certo verso la civiltà.

Ma poiché il problema della applicazione della legge così come della formazione di una legge dipende dagli uomini e dalle donne che la fanno e poi la applicano, trovo evidente che non si possa prescindere dalla consapevolezza che se la sostanza di chi fa determinati mestieri è carente, carente sarà anche il paese a cui si dà forma.

A ogni riforma del governo si pensa alle riforme pratiche. Per carità, tutti punti leciti e necessari.

Ma pensare a una riforma delle persone no? A parere mio una riforma del pensiero e delle istituzioni passa attraverso una riforma delle persone che le abitano. Altrimenti non avremo né leggi evolute, né tanto meno società civili in cui vivere. A cosa serve avere la Convenzione di Istanbul se i magistrati e gli operatori di palazzo sono i primi a ignorarne l'esistenza? A cosa serve dire a parole che siamo una società che contrasta il bullismo e la violenza se chi opera nei Tribunali è complice proprio dell'esercizio di questa violenza nella società attraverso ignoranza, menefreghismo istituzionale e corruzione vera e propria del modo di pensare e di operare? La rivoluzione consiste prima di tutto in una rivoluzione delle coscienze. Non c'è cambiamento reale in una società che non sia stato preceduto prima da una rivoluzione del pensiero e degli uomini e delle donne che animano quel secolo. Possibile che vi sia nella nostra società una selezione spesso perfino esagerata per chi deve andare a fare un mestiere comune e poi non vi sia invece una selezione almeno altrettanto spietata per chi abita i palazzi che contano? Ma perché io cittadino devo accettare di avere un giudice che prende psicofarmaci come emissore di una sentenza? Ma perché io cittadino devo accettare ministri che non rispecchiano le capacità necessarie per ricoprire quel determinato incarico?

Ma perché io devo accettare che persone inadatte decidano della mia esistenza e di quella dei miei figli?

Ma perché io cittadino devo accettare che persone indegne di rappresentare la Giustizia siano conferite di un potere così immenso nei miei confronti?

La foto che vedete sopra è tratta dal libro del Giudice Roia, un testo dedicato alla comprensione della violenza contro le donne in questo paese, frutto di anni di lavoro ed esperienza pratica.

Sarebbe auspicabile che gli operatori CTU che nei Tribunali non capiscono, ma soprattutto parlano senza capire, fossero accompagnati alla porta e che i magistrati - quantomeno quelli disposti ad evolversi e a non continuare a restare radicati nella cultura dell'ignoranza, - cominciassero a prendere le distanze nei palazzi da quegli operatori che sono causa di danni enormi per donne e minori.

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